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Kingdom Hearts: Birth by Sleep, la fragile fiaba della nostalgia - Retrocensione

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Qualche mese fa mettevo a posto nell’armadio. In particolare in quell’anta diventata uno sgabuzzino in miniatura in cui non si sa quali cose ci siano dentro. O come ci siano finite. Tra le buste di cavi e connettori ormai fuori produzione faceva capolino la mia vecchia PSP. Prima edizione, di quelle grosse e ciccione. Il solo stringerla mi ha portato alla mente tanti ricordi di altri tempi. Tempi più semplici, in cui ti emozionavi ad uscire dal Gamestop con il nuovo capitolo della tua saga preferita.  Preso dalla nostalgia ho recuperato il vecchio scatolone coi vari giochi e, dopo che la gigantesca macchia nera al centro dello schermo mi ha ricordato il perché non la usassi più, ho deciso di rigiocarmi i giochi della mia adolescenza grazie alle meraviglie dell'emulazione. Il primo che ho ripescato è Kingdom Hearts: Birth by Sleep. Kingdom Hearts è figlio di un eccentrico matrimonio . Le fantasie finali della giapponese SquareSoft e l’immaginario occidentale di Walt Disney diedero ...

Life is Strange, la farfalla dalle ali blu - Recensione

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 "Nomen Omen” dicevano i latini, il destino è nel nome. Magari è con questa filosofia che i ragazzi di Dontnod hanno chiamato la loro primissima opera “Remember Me” nella speranza che tale nome restasse effettivamente impresso nelle menti dei videogiocatori. Il caso però è un burlone, perché a distanza di anni dall’uscita, pur essendo abbastanza valido, Remember Me non rappresenta un nome altisonante ed è ancora oggi uno dei titoli meno conosciuti di tutti i tempi. Al di là del fallimento generale però, Square Enix colse i pregi di quell’opera, prima fra tutte una narrazione degna di nota, e decise di continuare ad investire nella casa di sviluppo. I Dontnod ebbero quindi la possibilità di concentrarsi su un secondo progetto chiamato Life is Strange.

Her Story, il caso di Simon Smith - Recensione

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A chi è nuovo nel mondo del gaming come il sottoscritto, il nome di Sam Barlow probabilmente non dirà nulla. Chi invece, già navigato dell’industria, conosce l’uomo dietro Silent Hill: Shattered Memories e Aisle, non farà fatica a chiamarlo folle sperimentatore. Già in quel mezzo spin-off mezzo remake del primissimo Silent Hill Barlow mostrò al pubblico la sua voglia di sperimentare, modificando pesantemente gli standard della serie e forgiando un nuovo modo di concepire il survival horror, tra i suoi pregi e i suoi difetti. Tuttavia il Designer americano non aveva mai ricoperto un ruolo estremamente incisivo nello sviluppo di un videogame. Almeno fino ad oggi, l’oggi del 24 giugno 2015, data di uscita del suo primo titolo indipendente: Her Story. Scopriamo quindi perché ritengo la storia della scomparsa di Simon Smith un caso che vale la pena risolvere.

The Journey, il viaggio senza inizio né fine - Recensione

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In ogni ambito artistico vi è sempre un’opera o un artista in particolare difficile da classificare; un dipinto a cavallo tra più movimenti artistici, un Montale in letteratura, o anche una canzone dei Queen che si adagia tra più generi, ogni diramazione artistica ha da sempre una pecora nera che fa fatica a incastrarsi in una qualsivoglia categoria. Semplicemente gli sta stretta un’unica, magari banale, definizione. Nel mondo videoludico questo è il caso di Journey, esperimento della losangelina Thatgamecompany, il quale si è dimostrato così atipico da rigettare qualsiasi genere gli venisse accostato. Vediamo perché.

Heavy Rain HD , la pioggia incessante - Recensione

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Ebbene, giunti ormai ad una generazione in cui viene rimasterizzata ogni cosa esistente, poteva mai sottrarsi a questo fatidico destino l’opera più famosa di David Cage? Sono trascorsi ben sei anni dall’esordio del direttore francese su Playstation 3, e di acqua sotto i ponti ne è passata. Vediamo se durante la nuova generazione nel pieno del suo splendore (si fa per dire) il capolavoro targato Quantic Dream vale ancora la candela.

Dragon Age: Inquisition, che l'inquisizione salvi tutti - Recensione

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Versione di prova - PS4 Molti sostengono che negli ultimi anni il genere più in voga sia lo sparatutto in prima persona, reso popolare dai lavori di Activision e di EA. Io non sono di questa opinione e credo che il genere più inflazionato sia il Gioco di Ruolo, sebbene in modo leggermente diverso. I titoli in soggettiva tendono a ripetersi nei contenuti e pochi sono i giochi realmente innovativi per il genere. Il Gdr, dal canto suo, ha mutato aspetto di anno in anno, di produzione in produzione, fino a confondersi nel panorama videoludico. Quanti sono i titoli che, pur non avendo nulla a che vedere con le produzioni ruolistiche, ne presentano le caratteristiche tipiche? Una personalizzazione là, un party-based qua, e un albero delle abilità sparso un po’ ovunque suggeriscono che il genere stia vacillando con ancora pochi esponenti ancorati alle origini di tale genere. In tal senso Dragon Age: Inquisition è un titolo di transizione, a metà tra il classico e il moderno.

Grand Theft Auto V, il crimine paga - Recensione

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Nel mondo dei videogiochi, la Rockstar Games è conosciuta principalmente per due motivi: tra le porte dell’azienda non è mai passato nemmeno un briciolo di notizia sfuggita, non un segreto né una voce di corridoio, solo tanti silenzi ed altrettanti “non posso rispondere” alle sporadiche interviste. Ciò fa di Rockstar una delle case di produzione ancora in grado di poter stupire e di poter lavorare per quanto tempo desidera lontano da ogni pressione mediatica. Il secondo motivo è, un po’ più banale a dire il vero, che il nome Rockstar è preceduto dalla fama dei suoi titoli, i GTA in primis. Questa ormai storica quanto iconica serie ha settato nuovi standard per il genere oltre ad innovarlo di produzione in produzione. L’ultimo Grand Theft Auto ha superato ogni record di vendita con ben 1 milione di copie piazzate in meno di una settimana, ma cosa c’è alla base del successo della quinta iterazione?