Kingdom Hearts: Birth by Sleep, la fragile fiaba della nostalgia - Retrocensione


Qualche mese fa mettevo a posto nell’armadio. In particolare in quell’anta diventata uno sgabuzzino in miniatura in cui non si sa quali cose ci siano dentro. O come ci siano finite. Tra le buste di cavi e connettori ormai fuori produzione faceva capolino la mia vecchia PSP. Prima edizione, di quelle grosse e ciccione. Il solo stringerla mi ha portato alla mente tanti ricordi di altri tempi. Tempi più semplici, in cui ti emozionavi ad uscire dal Gamestop con il nuovo capitolo della tua saga preferita. Preso dalla nostalgia ho recuperato il vecchio scatolone coi vari giochi e, dopo che la gigantesca macchia nera al centro dello schermo mi ha ricordato il perché non la usassi più, ho deciso di rigiocarmi i giochi della mia adolescenza grazie alle meraviglie dell'emulazione. Il primo che ho ripescato è Kingdom Hearts: Birth by Sleep.


Kingdom Hearts è figlio di un
eccentrico matrimonio. Le fantasie finali della giapponese SquareSoft e l’immaginario occidentale di Walt Disney diedero i natali ad una curiosa fiaba per ragazzi. Le avventure di Sora, Paperino e Pippo stregarono milioni di giocatori, complice una struttura narrativa estremamente intelligente: i protagonisti, in maniera analoga al britannico Doctor Who, sono viaggiatori interstellari che visitano diversi mondi – cioè, i vari film Disney – e si ritrovano al posto giusto al momento giusto per salvare la situazione.
Dinnanzi alla fortuna che incontrò il primo capitolo era impossibile non proporre dei seguiti. Tuttavia, tutti coloro che si sono tuffati direttamente in Kingdom Hearts II ricorderanno bene una certa sensazione di straniamento. La trama funzionava bene e proseguiva scorrevole, eppure si percepiva la sensazione che mancasse qualche pagina.

Per qualche assurdo motivo gli sviluppi della trama si frammentarono su più console; il sequel diretto del primo capitolo comparve infatti come esclusiva GameBoy Advance, assumendo tra l’altro le fattezze di un gioco di carte. Qualche anno più in là un altro titolo sul Nintendo DS mette in luce ulteriori eventi secondari. Si arriva addirittura a pubblicare un titolo per cellulari, ben prima che esistessero gli smartphone. Tutte esperienze di gioco dal noioso al mediocre, ma per scelta dell’autore, tutte indispensabili ai fini narrativi.
In questo contesto viene presentato Birth By Sleep per la fortunata portatile Sony. La nuova fatica Square prometteva non solo di raccontare le origini della saga dando finalmente forma alla fumosa narrazione, ma anche un’esperienza di gioco molto più vicina ai suoi cugini per console fissa.

Sarà un ennesimo spin-off passabile, o la chiave per il cuore dei fan?

Accurata rappresentazione di un fan di Kingdom Hearts

Birth by Sleep segue le avventure intrecciate di tre giovani allievi del Keyblade: Aqua, Terra e Ventus. Nel giorno dell’esame, uno dei due maestri, Xehanort, sparisce nel nulla e nei vari mondi spuntano delle creature oscure, i Nesciens. Con ognuno le proprie motivazioni e desideri, i tre giovani partono per esiliare queste creature e cercare il loro maestro.

Affrontiamo l’elefante nella stanza. La trama di Birth by Sleep lascia molto a desiderare.
La messa in scena si perde in una sequela di dialoghi piatti che ruotano attorno agli stessi concetti senza mai approfondirli veramente. La crescita dei tre protagonisti mediante gli episodi autoconclusivi nei mondi Dinsey è estremamente povera, e in tal senso, la scelta di sviluppare la storia in tre campagne parallele non contribuisce in alcun modo ad una narrazione appagante.
Infine, l’intreccio vero e proprio si esaurisce in un climax ben coreografato e orchestrato, ma che purtroppo perde il suo impatto emotivo a causa di regole dell’universo narrativo mai spiegate.
Insomma, al netto di un paio di scene ben scritte verso il finale, la trama fa aqua da tutte le parti.


Dialoghi sempre sul pezzo


Di tutt’altra fattura è la base di gioco. Sebbene fosse impossibile riprodurre fedelmente il complesso gameplay dei cugini PS2, Birth by Sleep lo riesce a declinare tramite una delle aggiunte più curiose e profonde della saga: il Sistema di Comandi.

Al netto della combo base sempre disponibile, tutte le manovre offensive conosciute nei capitoli precedenti, in BbS diventano dei Comandi. Ciò significa che azioni come Fire, Magnete, o Incrocio Sonico, assumono le fattezze di semplici pezzi di equipaggiamento. Non serve più attendere di sconfiggere uno specifico boss nella campagna per sbloccare thunder: basterà comprarlo dal Moguri più vicino ed equipaggiarlo.
Si adatta di conseguenza il menù di battaglia sempre a schermo, dove una serie di slot per i comandi equipaggiati sostituisce la tendina che strizzava l’occhio alle produzioni a turni. Sparisce dai radar anche la barra degli MP: tutti i comandi, magie comprese, richiedono solo un periodo di cooldown prima di poter essere lanciati nuovamente.

Semplificazione non implica mancanza di profondità. I comandi equipaggiati possono salire di livello, aumentando le proprie capacità offensive, e una volta al livello massimo, due comandi possono essere fusi per dar vita ad una combinazione superiore; due fire si evolvono in fira, due fira in firaga, e così via. Ce n’è per tutti i gusti, anche per combinazioni più ricercate; aerocolpo e blizzara generano raid paralizzante, comando che lancia il keyblade come un boomerang e congela tutto ciò che tocca. Tramite l’aggiunta di un cristallo alla fusione è poi possibile assegnare un’abilità al comando appena generato. Una volta che il comando giunge al livello massimo, l’abilità verrà ereditata dal protagonista; queste spaziano dalle più superflue, utili per incrementare l’output di danno o il numero delle combo, alle più fondamentali, come l’immancabile Ultima Chance. 


L'editor dei Comandi si presenta così.
Sì, Magnetega è sempre sbroccata.

Il sistema di fusione mette in piedi un piacevolissimo gameplay loop.
Il giocatore è incentivato a portare al massimo livello i comandi che usa per aumentare le proprie capacità offensive e così facendo, si ritrova con nuovi comandi pronti per un’ennesima fusione. Il tutto guadagnando costantemente nuove abilità. Ci si mette un po’ a comprendere appieno le potenzialità del sistema di comandi, ma il ciclo che ne deriva è divertente e gratifica il giocatore. Inoltre, fornisce un senso di progressione che sopperisce all’assenza di una progressione lineare più classica. 

Le Unioni-D e gli Stili dei Comandi sono le uniche meccaniche legate al progresso di trama, e in tal senso le meno sviluppate. Le prime permettono di richiamare un personaggio incontrato nell’avventura e di assumere temporaneamente i loro poteri. Le unioni iniziali rappresentano semplicemente un set di comandi alternativo. Altri personaggi, tra cui spicca il privilegio Disney, danno accesso a mosse uniche o a modificatori particolari, e rappresentano una declinazione interessante dell’Evocazione delle scorse iterazioni. Gli Stili dipendono invece dall’omonima barra, che si riempie mandando a segno gli attacchi. Una volta piena, si potrà scatenare una potente finisher, detto Epilogo, oppure attivare uno Stile di Comandi, con cui i protagonisti aggiungeranno temporaneamente manovre spettacolari ai loro attacchi. Entrambe le meccaniche non godono della stessa profondità dei comandi, ma spezzano in maniera decente la monotonia, specialmente nelle prime ore di gioco.

Per essere PSP, gli effetti a schermo si difendono davvero bene


Concentriamoci però sull’altro piatto della bilancia, dato che Birth by Sleep ha un problema strutturale con la curva della difficoltà. 
Il potenziale offensivo del giocatore si muove di pari passo con il suo livello di conoscenza dei Comandi, o in breve: più il giocatore sperimenta con le fusioni, più capisce come funziona e più diventa forte. In un qualsiasi gioco questo processo di apprendimento non sarebbe altro che un’unità di misura con la quale calibrare l’esperienza, magari con delle fasi iniziali più permissive e delle ultime più esigenti. Il problema è che Birth by Sleep si articola in tre campagne parallele, e non impone rigidamente l’ordine al giocatore: tutte e tre sono perfettamente calibrate per essere il punto di partenza dell’esperienza. Tuttavia, se alla prima campagna si farà fatica a studiare un sistema così diverso rispetto ai giochi principali, durante l’ultima storyline anche il giocatore più sfigato saprà fondere firaga poco dopo la fine del prologo. Il gioco però non ne tiene conto e ciò si traduce in una sfida che si trivializza. Al netto di manie di completismo, cercare di migliorare i comandi oltre un certo punto non è necessario se quelli equipaggiati fanno il loro dovere. 

A rendere ambigua l’esperienza ci sono anche Comandi di Tiro, un’altra meccanica introdotta in questo capitolo. Alla pressione di un tasto è possibile bersagliare e colpire a distanza i nemici con attacchi devastanti che assicurano invulnerabilità per tutta l’intera durata dell’animazione. Nelle battute finali di gioco, il Tiro non solo assicura un notevole output di danno costante e sicuro, ma garantisce anche totale protezione. È superfluo persino il suo costo, la barra Focus, nel momento in cui il Comando di Tiro consumerà sempre meno risorse in base al livello. È una manovra troppo comoda ed efficiente che certe volte sembra di usare un cheat code. Le difficoltà avanzate Proud e Critical sono presenti come da tradizione, con quest’ultima che permette l’infernale run EXP 0 per i giocatori veramente masochisti. Anche queste però non salvano la situazione. Non impennano affatto la curva della difficoltà, semmai la appiattiscono: la prima ora di gioco a Critical è pura malvagità (avrò registrato 20 game over solo nei primi due mondi), ma si ammorbidisce in poco tempo e anche quest’opzione perde di mordente. 

Gli scenari evocativi non sono mai mancati alla saga

Dal punto di vista tecnico il gioco è inattaccabile. Birth by Sleep rappresenta uno dei picchi grafici della portatile di Sony, perdendo il confronto solo con qualche altra produzione davvero mastodontica (i Monster Hunter sono ancora oggi graficamente impressionanti, ma Capcom ha avuto ben più di una release per prendere confidenza con l’hardware portatile). Lo stile grafico tipico della saga è stato adattato al contesto portatile dando luogo ad un’ottima qualità dell’immagine che crea continuità con i titoli precedenti. Chiaramente qualsiasi paragone tradirebbe inequivocabilmente la qualità dei modelli o la scala ridotta delle mappe, tuttavia Square ha spinto su animazioni fluide, modelli facciali espressivi e ottimi effetti visivi. Fun fact: il gioco offre la possibilità di passare ad una modalità performance, massimizzando il clock della cpu! 
Una menzione d’onore va fatta obbligatoriamente alla colonna sonora firmata da Yoko Shimomura. I brani della compositrice dell’intera saga continuano ad essere tecnicamente impressionanti ed epici senza mai cadere nell’eccessivo. Deliziosa l’idea di contribuire ai collegamenti narrativi mediante la ripresa di alcuni motivi dei capitoli precedenti, ritoccati e revisionati per l’occasione.


Insomma, Birth by Sleep è stata una bella prova. L’ultima fatica di Nomura si muove tra luci ed ombre; la grande libertà concessa in mano al giocatore è sintomo di positiva sperimentazione, sebbene si macchi di diverse ingenuità di design. La storia è in pieno stile Kingdom Hearts, ma una povera esecuzione non regge le idee interessanti delle premesse. Il sistema di gioco è piacevole e fluido, uno dei più originali della saga, eppure decisamente troppo fragile in mani esperte. Nessun dubbio invece sulla OST. Shimomura è sinonimo di garanzia: Dark Powder e Dismiss sono a rotazione nella mia playlist da giorni.
E forse questo racconta la mia esperienza meglio della recensione stessa. È più piacevole ricordare il gioco, che effettivamente rigiocarselo. 

Voto Finale: 6.5

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