The Journey, il viaggio senza inizio né fine - Recensione



In ogni ambito artistico vi è sempre un’opera o un artista in particolare difficile da classificare; un dipinto a cavallo tra più movimenti artistici, un Montale in letteratura, o anche una canzone dei Queen che si adagia tra più generi, ogni diramazione artistica ha da sempre una pecora nera che fa fatica a incastrarsi in una qualsivoglia categoria. Semplicemente gli sta stretta un’unica, magari banale, definizione. Nel mondo videoludico questo è il caso di Journey, esperimento della losangelina Thatgamecompany, il quale si è dimostrato così atipico da rigettare qualsiasi genere gli venisse accostato. Vediamo perché.



Prima stella a destra, questo è il cammino

The Journey è, per quanto ovvia possa essere la definizione, un viaggio. È la storia di un viandante umanoide senza volto né nome il cui unico scopo è quello di raggiungere il picco di una montagna in lontananza dal quale brilla una luce stranamente confortante. Non si conosce il perché di quella meta, né il motivo che spinge il viandante a recarsi esattamente in quel luogo, eppure la più che semplice sequenza d’introduzione è sufficiente a far calare chi gioca nei panni del pellegrino, e a fargli desiderare ardentemente quella luce in fondo al cammino. Un po’ di background narrativo c’è a dirla tutta, ma data l’assenza di dialoghi le rare sequenze di narrazione sono a libera interpretazione. Si potrebbe quindi interpretare la sottotrama di Journey come il percorso evolutivo di una civiltà, come una critica all’avidità intrinseca in ogni società, e così via, fino a plasmare quella sottile narrazione a piacimento.
Sotto il punto di vista del gameplay, The journey è quanto di più intuitivo possa esistere. Con soli due pulsanti a governare l’economia di gioco, uno dedicato al salto e l’altro all’interazione con le sciarpe, si potrebbe tranquillamente etichettare il prodotto come platform tridimensionale per la felicità degli amanti del genere, dato che quest’ultimo sta lentamente sparendo dal mercato; e invece non è così semplice poiché l’esperienza offerta da The Journey è ampiamente coadiuvata da un comparto audiovisivo senza precedenti.



Anche l’occhio vuole la sua parte
Non scherzo quando dico che nell’industria videoludica le persone che stimo si contano sulle dita di una mano, tuttavia tra quella cerchia ristretta di creativi da oggi vi rientrano anche i Visual Designer di Journey. L’opera di Thatgamecompany è Incantevole con la “I” maiuscola: gode di inquadrature e scenari da brivido, architetture estremamente eleganti e pregne di stile. Ma il solo tentare di ridurre a parole ciò che Journey offre visivamente è un’offesa al gioco e a chi ci ha lavorato. Lasciatemi spendere giusto un paio di righe a riguardo. Il titolo è ambientato in un deserto, dunque gli scenari sono monocromatici. Ciononostante, quei diavoli degli sviluppatori sono riusciti nel corso dell’avventura a sostituire gradualmente le tinte della sabbia mediante un susseguirsi di scenari unici e altamente suggestivi: il marroncino chiaro del deserto di giorno si accende di rosso al tramonto, svanisce nel verde dei sotterranei e si angoscia nel viola più avanti, fino a giungere al bianco più candido nella parte conclusiva; il tutto seguendo transizioni estremamente morbide e gradevoli all’occhio, tanto che io personalmente non mi sono accorto di quando la palette di colori era decisamente diversa rispetto a qualche minuto fa. Il protagonista, inoltre, reagisce allo scenario che gli si par davanti. Non con reazioni di meraviglia o stupore per quel ben di dio –quello è il ruolo del giocatore- bensì vibrandosi nell’aria se iniziamo a prendere quota, a pattinare se siamo in scivolata sulla sabbia, e via discorrendo. Infine, un plauso va alla soundtrack che accompagna il pellegrino nel suo viaggio: da toni più accesi e allegri nei momenti di libertà, a note più incalzanti in prossimità del pericolo fino a melodie che sfiorano l’aulico nei momenti di enfasi. Non una singola nota è fuori posto, come nessuna architettura sbava un po’: tutto, ma proprio tutto in Journey è maniacalmente posizionato, pezzi di un puzzle elegante e sopraffino. Vi è presente anche il multiplayer, ma non pensate di poter giocare al titolo con un amico. Il multiplayer di The Journey è molto simile al drop-in/drop-out di Watch Dogs, con giocatori che entrano in partita all’improvviso e possono uscirsene quando gli pare. Niente lobby, niente menù appositi e, soprattutto, conoscerete il nome del vostro accompagnatore esclusivamente una volta giunti alla fine del viaggio, poiché prima di ciò egli è semplicemente un pellegrino come voi.



Pensiero in chiusura
The Journey, sotto molti aspetti, appartiene al genere platform in tre dimensioni. Eppure, grazie alla suggestione di quel comparto tecnico fuori dal comune e grazie alla gestione certosina di architetture e transizioni, più che un’opera videoludica in senso stretto è un’esperienza audiovisiva che ogni giocatore –se non ogni persona appassionata d’intrattenimento d’ogni tipo- dovrebbe provare almeno una volta nella vita. La bellezza di The Journey è insita anche nei vari significati che possono essere attribuiti alla sua concezione metaforica di viaggio con un fine particolare, che sia per raggiungere un luogo, un qualcosa o qualcuno. Insomma, qualsiasi sia il livello con cui si affronta il titolo, per puro intrattenimento o per scovare dei significati nascosti data la semplicità con cui affronta il tema del viaggio, The Journey non può non piacere. L’unico difetto potrebbe essere la longevità un po’ ristretta, ma come si suol dire –in questo caso più che mai- The Journey è breve, ma intenso.

Voto finale: 9

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