Bloodborne, il tuo peggiore incubo - Recensione
Certi giochi hanno proprio fascino, non c’è nulla da aggiungere.
Quelli targati From Software e firmati da Hidetaka Miyazaki in persona, poi,
sono una garanzia non da poco. Ero molto scettico sull’acquisto di Bloodborne,
ultima iterazione della compagnia dei Souls, eppure, una volta preso il pad ed
essermi addentrato nella rugginosa e tetra Yharnam, dopo essere morto centinaia
di volte e dopo aver fatto scendere il cielo intero a suon di immoralità, si è risvegliato
qualcosa dentro di me. E quel qualcosa mi ha fatto capire perché i From hanno
alle loro spalle una schiera pressoché infinita di fan, pronti a difendere i
loro giochi preferiti a spada tratta.
Come era lecito aspettarsi da Miyazaki e From, l’infame duo prima introduce
il giocatore in un mondo talmente affascinante che lo strega all'istante, poi lo
abbandona come un crudele genitore che lascia il proprio pargolo sull’uscio di
un orfanotrofio. L’avventura inizia risvegliandoci dopo una trasfusione di
sangue nella macabra clinica di Iosefka. Siamo abbandonati a noi stessi, con
solo a guidarci delle note sorrette da piccoli mostriciattoli sparsi qua e là a
farci da tutorial, o meglio, a dettarci i comandi fondamentali. Dopo la nostra
prima morte a causa di un lupo particolarmente avvezzo al dialogo, saremo
trasportati in un ambiente più gradevole all’occhio umano, il Sogno del
Cacciatore, dove verranno –con un’eleganza quasi enigmatica- spiegati a grandi
linee ciò che succede: siamo dei forestieri giunti per caso nella città di
Yharnam, famosa per il suo buon sangue, durante la Notte della Caccia, dove la
linea di separazione tra uomo e belva viene cancellata e i cittadini sono
rintanati in casa dalla paura di qualcosa, lo stesso qualcosa che cercano i
Cacciatori. Ed è proprio quel misterioso qualcosa che ci spingerà ad esplorare
Yharnam e contrade. È un peccato però che la trama diventa apprezzabile solo e
solamente se il giocatore si curerà del raccogliere le testimonianze nascoste
in angusti cunicoli, ascoltare i cittadini rinchiusi nelle loro abitazioni e
leggere ogni descrizione di ogni oggetto dell’inventario, al fine di scoprire
la lore che permea il titolo e utilizzarla come quella base narrativa che i
From hanno dimenticato di raccontare al giocatore. Probabilmente è solo una
scelta artistica che si allinea perfettamente con l’atmosfera di solitudine del
gioco, chissà, sta di fatto che pur essendo armati di pazienza fino ai denti, è
davvero difficile ricomporre il grande puzzle narrativo dietro Bloodborne.
Vivi. Muori. Ripeti.
Dimenticatevi ben presto di quella piccola fetta di trama che avete gustato
al prologo, perché il vero cuore di Bloodborne è il gameplay. FromSoftware ha
ufficialmente creato un sottogenere dell’Rpg e questa volta innova la formula
da lei stessa elaborata. Conservando il sistema basato sulla stamina ma
eliminando gli scudi (in realtà uno scudo di legno c’è, ma serve a ben poco),
From punta su un fronte decisamente più action, basato sulla tattica da “mordi
e fuggi” che tende a velocizzare i combattimenti e li incentra sul tempismo. Gli
scudi sono sì assenti, tuttavia l’introduzione delle armi da fuoco trova
paradossalmente il suo scopo proprio nella difesa e vanno ad arginare l’assenza
di protezioni: sparando al momento giusto è infatti possibile stordire per
qualche istante il nemico e contrattaccare sia frontalmente che alle sue spalle
e quest’ultima azione, anche se più difficile da archiviare, è in grado di
infliggere un numero sensibilmente maggiore di danni. Inoltre, una maggiore
rilevanza è stata data alle armi principali, che grazie al fatto di poter mutare
forma e modificare a loro volta il tipo di attacco e il raggio d’azione, fanno
sì che la stessa arma incida sui combattimenti con molteplici e sempre differenti
schemi d’attacco. La difficoltà (trattandosi dei From Software) è palesemente
tarata verso l’alto e volutamente frustrante, in cui le morti pioveranno a
dirotto ma non saranno contestualizzate come una sconfitta, bensì come un nuovo
inizio. Il titolo infatti favorisce un’accurata memorizzazione degli attacchi e
movimenti nemici più che per un assalto alla cieca, e questo mostra il
funzionamento del sistema frustrazione-appagamento alla base del combat system:
ogni area all’inizio sarà ostica proprio per la sua natura di novità, tuttavia,
imparando a menadito i moveset dei nemici, prevenderli e successivamente
sconfiggerli, regalerà quel senso di soddisfazione che ci spingerà a proseguire
in Bloodborne, similmente a quanto accade con la Sindrome di Stoccolma, quando ci
si innamora del proprio torturatore.
Chi bello vuole apparire…
Proprio come il primo Dark Souls, Bloodborne è un open-world
dannatamente intricato. A differenza dei soliti giochi dove per open-world s’intende
una mappa immensa liberamente esplorabile e senza caricamenti, in Bloodborne questo
concetto muta in un’avventura a tratti lineari mascherati però da un level design
sopraffino. Ogni ambientazione gode di due punti di salvataggio,
contestualizzate dalla trama come lanterne, disposte una all’entrata ed una all’uscita,
quest’ultima accessibile solo dopo la sconfitta del boss. Dalla lanterna principale
si snodano diverse vie, alcune delle quali inaccessibili per via di
cancelli, ascensori o porte che possono essere liberate solo una volta giunti
dall’altro lato, in modo da liberare il percorso. Ciò, unito all’alto tasso di
mortalità del gioco, incita all’esplorazione e, al contempo, la velocizza
proponendoci queste scorciatoie, col fine di formare un unico percorso diretto
al boss che si districa tra le labirintiche vie. Le ambientazioni, inoltre, abbandonano
completamente lo stile fantasy medievale tipico delle precedenti iterazioni
targate From e ne abbracciano uno che si rifà al primo romanticismo inglese. L’angoscia
e l’oppressione sono i sentimenti principali risvegliati dagli scenari, scaturiti
sia dalla forza delle inquadrature che dal senso di solitudine che deriva
invece dal gameplay. E questa è arte, in tutte le sue sfaccettature.
…un po’ deve soffrire
Bloodborne si porta dietro i difetti tipici dei suoi
progenitori. In tutti i Souls le compenetrazioni poligonali con lo scenario erano
una delle cose più odiate del gioco e purtroppo persistono anche qui. I colpi
nemici infatti saranno capaci di attraversare qualunque cosa gli si pari
davanti pur di colpirvi, l’importante è che siate all’interno del suo raggio d’azione, ma almeno in Bloodborne anche il giocatore potrà rispondere perforando muri di mattoni spessi
due metri con la sua ascia per colpire il nemico. Un altro difetto di un certo
spessore sono i cali di frame rate, che occorrono più di quanto possiate
aspettarvi da un’esclusiva PS4; nelle fasi più concitate guastano l’esperienza,
rallentando anche se per pochi secondi, l’azione di un gioco che per indole
dovrebbe essere frenetico. Inoltre, lo scoprirete ad ogni morte, ci sono i
tempi di caricamento che spaziano da 25 a ben 40 secondi a mappa, sia di
ristrette dimensioni come il Sogno del Cacciatore, sia vasta come accade con
Yharnam. Concludendo con i difetti, l’ultimo che ho riscontrato è
essenzialmente la troppa vastità della lore, talmente sparsa per il mondo che
perfino sul finale del gioco, non si è in grado di capire cosa stia accadendo a schermo.
Pensiero Finale
Passerete giorni interi e notti insonne davanti
Bloodborne. L’ultimo capolavoro targato From Software dimostra ancora una volta
il talento di Miyazaki nel creare ciò che solamente considerando l’universo che
vige dietro di esso, dovrebbe entrare di diritto nell’Olimpo dei videogiochi.
È però afflitto da qualche problema che ha un impatto
determinante sul gioco, e perciò non raggiunge la perfezione, ma con un poco
più di impegno nel considerare i giocatori e non focalizzarsi sull’immensità del
mondo di gioco (comunque meraviglioso) da parte di From avrebbe potuto meritare
di più. Un must have per tutti gli amanti dei souls, degli action-rpg e dei giochi
con una certo tasso di sfida.
Valutazione Finale: 8.9
Consigliato: più o meno chiunque possieda una PS4



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